venerdì 8 giugno 2018

Skolé: tempo libero contro strategia di Lisbona


Distogliendo gli occhi dell'ansia utilitarista, che non trova pace se non collega la formazione al lavoro, ed è diventata tanto più ossessiva quanto più il lavoro si allontana e scompare, fa piacere disintossicarsi ripensando alla lontana origine della scuola. La parola viene dal greco skolé, che significa tempo libero. In latino corrisponde a otium: tempo libero da impegni pubblici, riposo dalle occupazioni, dagli affari. L'esatto contrario del lavoro.
Pertanto: skolé = otium = tempo libero = scuola.
Un pensiero da incorniciare.
Ha un effetto liberatorio, infatti, quando si è presi dalle interminabili e infruttuose discussioni sulle "alternanze scuola-lavoro", mentre il tempo scarseggia, ricordare l'origine del fenomeno, la materia prima della scuola, che è all'opposto, e a sorpresa, il tempo libero, da cui deriva la noia, e dalla noia la curiosità e la meraviglia di fronte alla conoscenza.
Se non vi fossero stati, anticamente, uomini finalmente liberi dal bisogno, in genere nobili o comunque benestanti, esentati grazie al lavoro dei servi dalla dura lotta per la sopravvivenza di fronte a una natura ostile, la scuola non sarebbe mai nata. C'è da quando a qualcuno è stato dato il privilegio di avere tempo per sé, da trascorrere piacevolmente, liberamente, senza obblighi urgenti, lontano dagli affari, dalle grane e dagli affanni. La conoscenza è frutto di questa libertà e trova la sua ragione in se stessa, non nell'utilità economica e nella conseguente sottomissione alla durezza delle necessità quotidiane. Anzi, proprio perché libera, riferita a un altro tempo, un tempo diverso da quello scandito dalla durezza dei bisogni, la conoscenza può mettere in discussione tali presunte necessità, tutte le necessità, l'idea stessa di necessità.
Ciò che allo schiavo, privo di tempo e immerso nella fatica, è sembrato un vincolo fatale e invincibile, può invece rivelarsi all'uomo libero come uno stato passeggero, provvisorio, modificabile, grazie alla conoscenza. Questa è la scuola, che apre altri mondi.
La capacità di vedere oltre l'immediatezza dei bisogni elementari, disponendo di un tempo libero, dedicato unicamente al proprio sviluppo personale, è stato per secoli un beneficio per pochi privilegiati. Le nostre scuole esistono invece per estenderlo democraticamente a tutti. Se ci riescano o no è oggetto di discussione.
Sempre più spesso, invece, svolgendo il mio lavoro, mi imbatto in documenti scolastici che, a vario titolo, riportano un'intenzione programmatica di segno contrario che trovo sgradevole e insensata. Eccola:
"Diventare l'economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale..."
Mi sono chiesto perché questa frase suoni falsa e insostenibile rispetto al senso originario della scuola, e specialmente in considerazione del nesso tra conoscenza e tempo libero. E anche adesso, ripensandoci, devo dire che più la leggo e meno mi convince.
Vedere nella conoscenza uno strumento, anzi il più efficace strumento, di un'economia che intende dominare il mondo è un'aberrazione. La conseguenza è che anche la scuola (otium e skolé) viene associata ai suoi opposti, alla competizione e alla volontà di primeggiare, e degradata a strumento per raggiungere mete che le sono estranee.
La frase suona falsa perché è la giustificazione teorica dell'eteronomia scolastica. Introduce a una scuola che ha abbandonato il privilegio della conoscenza per piegarsi alla mera convenienza e all'opportunità economica.
Posta infatti una simile premessa, perché studiare? Per essere i primi, per diventare i campioni del mondo, o anche solo, più modestamente, per salire di qualche gradino nella scala sociale, per "farsi avanti", come suggeriscono Alesina e Giavazzi ai loro studenti della Bocconi in un pamphlet che vorrebbe dimostrare che il liberismo è di sinistra.
Ma queste sono motivazioni da mentecatti, tipiche degli studenti asini, quelli che continuamente chiedono, per giustificare la loro inadeguatezza davanti a qualsiasi argomento: "Ma a che cosa serve?" Mentre dovrebbero invece riflettere circa l'origine, il presupposto oscuro di quella stupida domanda: ma da dove veramente proviene? E soprattutto: dove inevitabilmente porta?
Certo, l'ottusità che pone la conoscenza al servizio della competizione, per raggiungere il dominio, ama accampare (vedi sopra) delle scuse filantropiche, dai toni vagamente sociali, tipo "sviluppo sostenibile", "coesione", "migliori posti di lavoro", ma sono soltanto dei riempitivi, che non riescono né a mascherare né a nobilitare la prima e prevalente intenzione: "Diventare l'economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo..."
Questo insulso proponimento, se enunciato in una scuola vera, da uno studente reale che grazie all'economia della conoscenza più competitiva e dinamica del pianeta non fa mistero di studiare da campione del mondo (probabilmente di export, perché altre guerre coloniali, almeno per il momento, sembrano escluse), potrebbe al massimo strappare un sorriso di compatimento da parte di un docente comprensivo, uno di quei sorrisetti che contagiano le classi e ti rovinano la reputazione.
E invece non c'è tanto da ridere. L'insulso proponimento non rispecchia purtroppo le illusioni di un mentecatto qualsiasi. Si tratta invece dell'obiettivo principale, anzi "strategico", "nel contesto di un'economia basata sulla conoscenza", approvato dal Consiglio europeo, a Lisbona, nella sessione straordinaria del 23 e 24 marzo 2000. Rappresenta dunque l'origine dei molti celochiedel€uropa PON PON e delle varie raccomandazioni della UE ai sistemi educativi degli stati aderenti: è insomma, per farla breve, l'atto fondante della pedagogia europeista.

La scelta strategica di Lisbona, dal punto di vista scolastico, è questa:
L'associazione dei sistemi scolastici all'economia (anzi a un modo di intendere l'economia, codificato dai trattati); l'inserimento del conoscere nel quadro della competizione, il valore fondativo guida; la ridefinizione delle finalità scolastiche in rapporto a tale valore; la conseguente riduzione della stessa conoscenza a competitività.

Scelto il criterio della competitività come misura di tutte le cose (funzionale a un capitale aggressivo sui mercati globali secondo un modello mercantilista e finanziario), gli altri pilastri della pedagogia del gambero si impongono di conseguenza, come elementi caratteristici e interconnessi di una stessa visione economica: la meritocrazia, il produttivismo aziendalista, e infine la svalutazione della scuola, cioè la deflazione scolastica, la sottrazione di valore all'istruzione, ai titoli di studio, al lavoro dei docenti, alla spesa pubblica necessaria per l'espansione del sistema formativo.
Mentre il collegamento tra competitività, meritocrazia e produttivismo, appare intuitivamente a tutti, più difficile è invece comprenderne il necessario esito finale: la deflazione scolastica, la perdita di valore della formazione. Anche perché i documenti europei, e la stessa legge italiana della Buona Scuola (la 107/15), sono scritti proprio per nasconderlo. La strategia di Lisbona ama  infatti presentarsi enfaticamente come un riconoscimento della posizione centrale dell'istruzione nel modello economico competitivo, ed esalta l'importanza della scuola nel processo di costruzione dell'Europa. Anche per la scuola, tuttavia, vale l'ipoteca che l'ordoliberismo estende a qualsiasi produzione umana: il privilegio accordato al privato contro il pubblico e la sottomissione alla regola del profitto. Dunque una conoscenza esaltata e centrale sì, ma nel senso che deve costare di meno, ed essere sottratta al controllo dello Stato, come tutte le cose importanti.

Mi rendo conto che quest'ultima osservazione, che va a toccare pregiudizi consolidati, coltivati da un'insistente propaganda e da un'azione capillare di disinformazione, richiede un approfondimento di analisi. L'inevitabilità della deflazione scolastica, accettate le premesse di Lisbona, va spiegata meglio e diffusamente.
Lo farò senz'altro e con accuratezza nei prossimi post, nel tempo libero, skolé, e dunque nella vera scuola.
Per il momento credo però di avere favorito la comprensione di un primo punto molto importante, e precisamente che nella pedagogia del gambero, quella che l'Europa ci chiede nelle sue raccomandazioni, a cominciare dalla strategia di Lisbona, sono scomparse le più profonde radici storiche della scuola, e le stesse ragioni della conoscenza: di otium e skolé non rimane infatti alcuna traccia.

2 commenti:

  1. E come meravigliarsi se tra docenti e studenti dilaga la demotivazione? Alla ricerca di presunte competenze, indaffarati a fare prove di " Prove InFalsi " per ben figurare nelle posizioni rispetto al Territorio, alla Regione, alla Nazione ed alla Galassia, impegnati ad inventarsi attività per ottenere i fondi dei PON, quando rimane tempo per preparare un ventaglio di attività rivolto a tutti gli studenti che dia modo di capire quali sono i loro reali interessi, le loro attitudini, cio' per cui intendono spendere il loro tempo e la loro vita futura? Attività ed interessi non spendibili domattina nella fabbrichetta (ma ormai molte hanno chiuso) o legati per forza alle "mitiche" TRE I.
    Cos'è rimasto delle vecchie attività di Orientamento che facendo riflettere sulle proprie caratteristiche personali e proponendo una serie di opzioni/attività (una serie, magari dando importanza anche all'Arte, alla Musica, alle attività pratiche e sportive, non solo alle TRE I) permetteva una conoscenza più equilibrata della propria personalità? Oggi la parola magica è "ALTERNANZA" , soluzione di tutti i problemi orientativi, soprattutto soluzione dei problemi di chi può usufruire di mano d'opera a costo zero!!!
    Ma secondo te, Bruno, è ancora possibile parlare di "Otium" e "Tempo libero", nel senso nobile di cui dicevi, non solo a scuola ma nella società, dove ogni momento della giornata dei ragazzi è regolata da un'attività rigorosamente pianificata ed organizzata da un adulto che ha già tutto chiaro nella sua mente, ma che spesso non da modo di lasciarti un tuo spazio totalmente libero?
    E non siamo ridicoli, spesso, noi adulti quando commentiamo sui ragazzi dicendo: " Non sono autonomi, io ai miei tempi....".
    Forse stiamo/stanno creando un mondo di tante caselline da incastrare una accanto all'altra, tutte belle uguali, da portare in giro per l'Europa con un bel Progetto Erasmus!!!
    E poi, forse, una volta tutti uguali, ci sarà un vantaggio, le future Prove InFalsi daranno risultati omogenei in tutto il nostro Bel Paese.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Mi auguro che le future prove Invalsi non ci siano proprio. L'Invalsi non ha futuro, come l'Ue, come l'euro, come i PON. Si tratta dei simboli di un lungo ciclo, ma le attuali difficoltà dipendono, appunto, dal fatto che siamo a fine ciclo.

      Elimina