Valori di riferimento: competitività, meritocrazia, efficienza, convenienza, e insomma tutto l'ambaradan della pedagogia del gambero, che nella Buona Scuola ha raggiunto la fase acuta.
Ma il presagio della morte prematura di questa curiosa "innovazione" era nell'aria. Da alcuni segnali, ufficiosamente, si era già capito, infatti, che non se ne sarebbe fatto nulla. E non per i meriti di chi si è opposto alla riforma, ma per i demeriti di chi l'ha approvata, incapace di prevedere gli effetti delle proprie incaute decisioni su un ambiente di lavoro che non conosce e che non comprende.
Nella scuola italiana la chiamata diretta non può funzionare, perché contrasta con i pilastri del sistema. E così, incautamente approvata, si è trascinata per un po' nel limbo di un'applicazione farraginosa e controversa, irrigidendosi in regolamenti, procedure, quesiti e cavilli che fin dalle prime applicazioni hanno fatto rimpiangere la lineare chiarezza delle graduatorie. E alla fine (ed è un sollievo per tutti) viene accantonata con una di quelle misure di "semplificazione" che spazzano periodicamente le vie del diritto scolastico, per liberarle dai rifiuti e dalle incrostazioni del tempo. E ciò appare chiaro non tanto ascoltando quelli che l'hanno contrastata, quanto analizzando gli argomenti degli altri, che l'hanno difesa, o hanno creduto di farlo, e che la volevano, o credevano di volerla...
Nel nostro sistema scolastico è molto radicata l'idea dell'interesse pubblico, che riporta a finalità collettive e non a preferenze individuali. Ne consegue la diffusa e indiscussa convinzione che l'amministrazione debba essere imparziale, e anche apparirlo. Corre quindi dei rischi la reputazione del dirigente che assume decisioni in obbedienza a criteri troppo personali e non condivisi. Nella chiamata diretta dei docenti il preside è esposto a varie minacce:
- Se tende a scegliere gli insegnanti sulla base di valutazioni non ben definite, delle conoscenze personali, dei rapporti di vicinanza o di altre affinità non sempre chiare, appare clientelare.
- Quando, diversamente, sceglie in coerenza con idee manifestate in modo netto, premiando i "fedeli alla linea" e scartando chi sostiene posizioni e indirizzi contrari, viene percepito come fazioso.
- Se valuta e sceglie, invece, applicando regole rigide e astratte, fatte valere con intransigenza e con spirito sanzionatorio, tralasciando il resto (che a scuola è l'essenziale), diventa autoritario.
Non era perciò difficile prevedere che i presidi, proprio perché sottoposti a questa condizione, si sarebbero preoccupati della propria reputazione, che dipende, in primo luogo, dal giudizio (vicino) delle famiglie, degli studenti e dei docenti, e solo secondariamente dalle valutazioni (lontane) dell'amministrazione centrale.
A scanso di equivoci, e per fugare ogni sospetto, molti hanno sentito il bisogno di illustrare minuziosamente il perché delle proprie scelte, ne hanno formalizzato anticipatamente i criteri, "quanto più possibile oggettivi" (in questi casi bisogna dire così), cercando di condividerli almeno con la parte più influente del collegio. Ogni nomina, per trasparenza, ha comportato una simile fatica, ben visibile negli "avvisi di chiamata" pubblicati sui siti scolastici. Si è trattato in pratica di costruire, in luogo della grande graduatoria degli aspiranti, ripudiata dalla demagogia aziendalista della Buona Scuola, piccole graduatorie concepite ad hoc, caso per caso.
Non è difficile immaginare l'evoluzione di questo processo di disgregazione del sistema di reclutamento dei docenti e dello stato giuridico del personale: premesse con citazioni di leggi e di regolamenti (per dimostrare che l'iter è fondato e non c'è niente di arbitrario); elencazione di requisiti e criteri in ordine di priorità (per ribadire che nulla è affidato al caso); riferimenti alle delibere dei collegi, agli accordi e alle informative (per ricordare che siamo in democrazia). Ma quando si fa così, di avviso in avviso, le cose si complicano. Un eccesso di spiegazioni va sempre spiegato, e provoca richieste di chiarimenti. La proliferazione delle norme deve essere a sua volta normata, e a seguito di rilievi opportunamente emendata. Tanto che, di emendamento in emendamento, lungo il tormentato procedimento, negli spasmi dell'iper-regolamentazione, abbiamo presto sentito i primi lamenti emergere dalla disperazione. Fino all'inevitabile grido finale: ARRIDATECE LE GRADUATORIE!
Che poi non erano una cattiva idea. Nonostante limiti ben visibili avevano (e hanno, e avranno) il merito di rispondere a un'inderogabile esigenza di imparzialità, che continua a provenire da un diritto scolastico ferito, ma ancora tenacemente in vigore, nonostante una ventennale opera di demolizione pro competitività, pro concorrenza, pro mercato, e soprattutto pro Europa.
Fatti i debiti rapporti, vale per il sistema delle graduatorie, provinciali e di istituto, quello che Keynes pensava del capitalismo: "Non è intelligente, non è bello, non è giusto, non è virtuoso e non mantiene le promesse. In breve, non ci piace e stiamo cominciando a disprezzarlo. Ma quando ci chiediamo che cosa mettere al suo posto, restiamo estremamente perplessi."
Anche le graduatorie non sono intelligenti e virtuose, e non mantengono le promesse per cui sono state inventate, ma dopo avere considerato gli effetti del sistema della chiamata diretta per competenze, che pretenderebbe di sostituirle, oltre a rimanere perplessi, comprendiamo che dovremo sopportarle ancora per molto tempo.
Quanto al richiamo a Keynes, non è casuale e vuole costituire un significativo indizio.
Diciamoci la verità: c'erano dei dirigenti che non vedevano l'ora di fare dei "colloqui" per assumere i prof (e le professoresse), per farsi la loro scuola (e il loro pollaio). Non tutti la pensavano come chi ha scritto il post. Fa piacere pensare che sono rimasti fregati, fre-ga-tiiii.
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