giovedì 13 settembre 2018

Buona Scuola: analisi della spesa

Che la Buona Scuola si sia tradotta in un rovinoso insuccesso sembra ormai un dato acquisito. Perfino i suoi promotori, che attualmente si trovano in grave difficoltà e perdono ogni giorno consensi, cominciano a riconoscerne il fallimento, ma con moderazione e senza esagerare. Ora, con qualche reticenza, ammettono che sì, ci sono stati degli errori di comunicazione... e forse non solo di comunicazione... però, a conti fatti, si vede a occhio nudo che la pubblica istruzione ha ricevuto maggiori risorse. Rispetto ai tagli operati nel passato ci sarebbe dunque almeno stata, se non altro, un'inversione di tendenza...
L'inversione di tendenza: questo sembra essere diventato, dopo tanto discutere, il nuovo punto di equilibrio, l'ultima triste scusante, che, oltre a rappresentare un'efficace scappatoia, potrebbe anche salvare la faccia alla Buona Scuola (e soprattutto a chi  l'ha maldestramente pensata e approvata).
Avevo già notato questo cambiamento di intonazione. 
Ma a questa giustificazione corrisponde qualcosa di osservabile? L'inversione di tendenza, anche restando in superficie, alla mera aritmetica della spesa statale, c'è davvero stata? Stiamo parlando di un dato reale o di una semplice impressione, vera solo all'interno di convinzioni politiche accettate per fede o per appartenenza?
Si è lungamente detto che, grazie alla 107, le risorse per la scuola hanno registrato un cospicuo incremento: tra i 3 e i 7 miliardi, a seconda dei metodi usati nel conteggio, dei giorni e dei giornali. La disinvoltura con cui si sono sparate certe cifre, sempre diverse, dovrebbe costituire di per sé un monito e un invito all'approfondimento. Fermo restando che quando c'è un incremento (se c'è) occorre sempre capire in rapporto a che cosa. Lo stesso vale naturalmente per i decrementi. Questo per non fare la fine della Gelmini in un confronto con Letta svoltosi nel 2011, che è emblematico per capire come sinistra e destra, per parecchi anni (precisamente dal 1992), si siano rinfacciate, con argomenti da treccartari, i tagli che hanno fatto insieme. Potete trovare il video nella pagina introduttiva del blog, accompagnato da una spiegazione.
Ciò premesso prendiamo le spese per la scuola (Missione n. 22 del bilancio dello Stato: Istruzione scolastica) nell'ultimo decennio. La tabella è elaborata sulla base dei dati contenuti nelle periodiche analisi delle spese per missioni e programmi, a cura del Servizio del bilancio del Senato (spese annuali indicate con valori assoluti in milioni di euro): 

Ho già osservato, sempre nella pagina introduttiva appena citata, che tra il 2009 e il 2010, mentre nelle scuole giustamente si protestava contro i tagli programmati dalla legge 133/2008 (Gelmini, Brunetta, Tremonti), la spesa per istruzione scolastica aumentava, anche se di poco, per effetto della precedente legislazione ancora in vigore. I decrementi attesi si realizzavano solo negli anni successivi, specialmente nel 2012, dopo la caduta del governo Berlusconi IV, e si mantenevano invariati con i governi Monti e Letta, e nel primo anno del governo Renzi. La legge 107 è del 2015 e i risultati si vedono nel 2016. Vi è un incremento di circa 3,2 miliardi di euro sull'anno precedente, ma non sulla spesa media del decennio. Si vedano le cifre evidenziate in rosso. Lo stanziamento 2016 è di 44.799 milioni di euro, e non si discosta molto dalla spesa del 2010 (governo Berlusconi, ministero Gelmini).
Che cosa è avvenuto? Le oscillazioni di spesa dipendono da vari fattori, ma badando alle voci principali possono essere riassunte così: il governo di centrodestra ha tagliato sul personale aumentando il numero degli allievi per classe e assottigliando gli orari di lezione (meno tempo pieno alla primaria, meno ore di lettere alle medie, riduzione del tempo prolungato, alleggerimento dei curricoli agli istituti superiori); Monti e Letta si sono ben guardati dal mettere in discussione questi "risparmi" (e come avrebbero potuto farlo nelle condizioni in cui hanno sgovernato sotto il ricatto dell'Europa?); il governo Renzi, invece, ha restituito le cattedre tagliate, ritornando più o meno ai livelli di spesa di sei anni prima, con un incremento non certo esaltante (+ 615 milioni).
Sì, ma... quali cattedre? I "risparmi" Gelmini (o meglio Tremonti) erano tagli lineari, dovuti alla contrazione dei curricoli, che toccava un po' tutte le classi di concorso. La restituzione della Buona Scuola, prevalentemente compiuta attraverso la trovata del cosiddetto "organico potenziato", ha invece "restituito" altro. Non le cattedre che le scuole richiedevano, segnalando ad esempio la necessità di professori di matematica, materie letterarie, lingue straniere, sostegno, sulla base del proprio specifico fabbisogno, per compensare i tagli subiti o per riempire i posti vuoti, ma quelle individuate invece dal ministero per "sistemare", attraverso l'immissione in ruolo, i precari storici ancora presenti nelle graduatorie ad esaurimento, per esempio docenti di discipline giuridiche ed economiche, arte, musica, educazione fisica.
Nessuna relazione, quindi, tra il fabbisogno delle scuole e l'organico potenziato. Anzi un'opposizione, facile da capire. Perché, infatti, gli insegnanti destinati al potenziamento erano rimasti così a lungo nelle graduatorie ad esaurimento? Ma proprio perché, appunto, appartenevano a classi di concorso meno richieste in quanto meno presenti nei piani di studio, o caratterizzate da un eccessivo numero di aspiranti rispetto al numero limitato dei posti, il che è lo stesso.
E qui viene spontanea una domanda: perché creare cattedre che non ci sono, solo per svuotare le graduatorie ad esaurimento, lasciando contemporaneamente scoperti posti effettivamente esistenti e richiesti dalle scuole? Ciò è dipeso da una convinzione (o illusione) ideologica, presente nella Buona Scuola, che riteneva possibile eliminare progressivamente tutte le graduatorie, a cominciare da quelle ad esaurimento, per assumere i docenti solo attraverso concorsi per esami e tirocini, cancellando così il precariato, la vituperata "supplentite". Si tratta di un programma insensato e ingiusto, ma soprattutto irrealizzabile, che di per sé rivela una scarsa conoscenza, pari solo alla presunzione, delle dinamiche profonde e strutturali della scuola, che non possono essere abolite per decreto, ma vanno piuttosto studiate e comprese, e poi governate nel rispetto della storia e della complessità del sistema. Non mi dilungo qui sul punto. Chi vuole approfondire può leggersi la pagina sul precariato.
Tirando le somme, dopo un decennio di spesa oscillante, il combinato disposto di tagli e di ripensamenti, nel gioco delle parti tra destra e sinistra, ha condotto a un curioso risultato involontario. Per risparmiare abbiamo tagliato posti veri per poi tornare, sei anni dopo, allo stesso livello di spesa attraverso immissioni in ruolo su posti finti. Ma non era meglio guardare al fabbisogno insoddisfatto? Non conveniva immettere in ruolo dando la priorità alla copertura dei posti reali rimasti scoperti?
Quanto ai precari delle graduatorie ad esaurimento, va ricordato che, pur non trovando una cattedra libera nella propria classe di concorso, non erano disoccupati. Molti di loro lavoravano stabilmente sul sostegno, e qui, pur non possedendo il prescritto titolo di specializzazione, avevano accumulato una pluriennale esperienza da riconoscere e da valorizzare. Bisognava completare la loro formazione con l'attribuzione del titolo mancante attraverso corsi riservati, per lasciarli dove si trovavano, su cattedre vere e necessarie. Sono stati invece spostati in altre scuole (e spesso in altre regioni), anche dove la loro classe di concorso era ampiamente coperta, o addirittura non faceva parte del piano di studi. E i posti di sostegno forzatamente abbandonati? Quelli, naturalmente, sono andati a nuovi precari, con minore esperienza. Potenziamento del precariato, quindi, in contrasto con l'iniziale, ideologico proponimento di eliminare la "supplentite".
Il confronto dei dati del 2016 con quelli del 2010 conduce a una diagnosi: a parità di organici e di investimenti, una minore efficacia, e una conferma di inefficienza di fronte ai bisogni insoddisfatti.
La spesa è rimasta grosso modo la stessa, anche se ora è meno ragionevole e qualificata.
E l'inversione di tendenza? C'è? A me non sembra. Se qualcuno riesce a vederla mi scriva.

domenica 9 settembre 2018

Se non a scuola, dove?


Sono diventato preside grazie a un concorso indetto nel 1990, più di 27 anni fa, svolgendo in otto ore un tema sull'analisi della domanda educativa, in condizioni difficili (ricordo perfino gente appesa alle finestre dell'hotel Ergife di Roma che protestava, già allora, contro la pessima organizzazione dell'esame). Com'è lontano quel tema. Non ne so ripetere esattamente il titolo e nemmeno lo svolgimento, ma è molto probabile che abbia scritto che il termine "domanda", in campo educativo, assume un significato molto diverso da quello che gli attribuiscono di solito gli economisti. Un risvolto economico, volendo, si può trovare anche qui, come sempre, ma non tocca l'essenza del problema. Sono inoltre sicuro di avere citato la legge 517/77, quella che attribuisce a ciascun allievo il diritto a un percorso individualizzato, che prevede la rimozione dei famosi ostacoli di cui parla l'art. 3 della Costituzione, e in qualche punto del testo avrò certamente anche ricordato che la prima finalità della scuola italiana è (era) la formazione dell'uomo e del cittadino. Niente di speciale, né di particolare. Ero solo un concorsista che aveva studiato la lezione.
Il problema di oggi è: 27 anni dopo potrei rifare quel tema?
Quell'idea sarebbe ancora proponibile e mi farebbe, come allora, ammettere agli orali? 
Sì in teoria, no in pratica.
Non c'è nessuno che l'abbia smentita in un testo di legge, perché manca la maggioranza politica in grado di farlo, ma c'è sempre qualcuno che, senza scontrarsi con una maggioranza politica capace di fermarlo, riesce a toglierla dai punti all'ordine del giorno e a deviare il discorso, una volta perché è talmente scontata che è inutile ripeterla (eh già, siamo tutti d'accordo), un'altra volta perché a forza di ripeterla si rimane nel passato e si perdono le sfide della competitività e della modernizzazione (e anche su questo punto dobbiamo essere tutti d'accordo, e se qualcuno per caso non lo è, guai a lui). Spingono in tal senso interessi forti, anche se non abbastanza da poter cambiare la trama costituzionale, ma sufficienti ad alterare la natura della domanda educativa. E qui, vedi come in un'altra partita cambiando le carte cambia anche il gioco, il termine "domanda" va invece inteso in senso strettamente economico, e per essere precisi, anzi addirittura rigorosi, come "abbattimento della domanda interna". 

Per abbattere la domanda interna, cioè i consumi e il benessere della popolazione, bisogna ridurre gli stipendi, aumentare le tasse, comprimere la spesa dello Stato, e quindi meno lavoro, meno sanità pubblica, meno previdenza sociale, meno istruzione gratuita. Il che è precisamente quel che è avvenuto in Italia negli ultimi anni, e che continua ad avvenire in obbedienza al regime eurista in cui siamo lentamente sprofondati. Crescente sottomissione a regole esterne (eteronomia) contro indipendenza nazionale organizzata a tutela dei cittadini (autonomia).
Mi sembra evidente che il soggetto posto al centro della domanda educativa che è derivata dalla Costituzione sia un ostacolo a un simile processo. Non occorre insistere molto sul concetto. Se il primo obiettivo della scuola è la formazione dell'uomo e del cittadino che emerge dal disegno costituzionale, entra nel pensiero comune l'idea che il lavoro, l'istruzione, l'assistenza sanitaria siano diritti, non lussi, non abusi. Non solo. Più si è istruiti e più si è consapevoli di questo fatto. I diritti diventano, appunto, un fatto e non una generica promessa. Un fatto che costituisce un grave problema per l'Europa.

L'Europa finanziaria non ha scelta. Non c'è alternativa: se vogliamo continuare a tagliare gli stipendi, i servizi sociali e le pensioni, e a trasferire risorse pubbliche al privato, e debiti privati al pubblico, dobbiamo invertire il nostro modo di pensare. L'uomo e il cittadino che la scuola, come organo costituzionale, intende formare rimuovendo ogni ostacolo, deve a sua volta diventare il principale ostacolo, e il più grande impedimento da rimuovere in nome del profitto e della competitività. Occorre dunque farne un bersaglio della propaganda "progressista", e su questa costruire una nuova antipedagogia, la pedagogia del gambero.
Bisogna dimostrare che i presunti diritti del cattivo soggetto legittimato dai principi della Costituzione ("un accidioso individuo" come diceva Padoa Schioppa) sono infondati, perché riferiti a un personaggio che ha tutti i caratteri del parassita: fannullone, sprecone, disoccupato e soprattutto indebitato. E un debitore strutturale non merita il benessere che uno Stato clientelare e spendaccione gli ha garantito.
Ne nasce una vera e propria filosofia della denigrazione nazionale.
Convincere un popolo che mirare al proprio benessere è un male e che accettare sacrifici inutili, anzi controproducenti, è un bene, non è tanto facile. Ma se si hanno a disposizione quasi tutti i mezzi di comunicazione, se si può contare sull'appoggio e sulla complicità di quasi tutti i partiti politici, è possibile tentare, e anche riuscire, almeno per un periodo, finché la verità non venga inevitabilmente a galla.
Per spingere un popolo all'autolesionismo è un'ottima strategia puntare sul senso di colpa collettivo: attraverso false informazioni seminare la discordia tra le generazioni, convincere i padri di avere danneggiato i figli, e i figli di essere stati derubati dai padri; fiaccare il morale di chi lavora spingendolo a credersi incapace e improduttivo; alimentare la diffidenza, la sfiducia e l'odio contro ogni funzione pubblica o potere statale, rappresentato come marcio e corrotto per definizione; sollecitare lo sconforto, scoraggiare la partecipazione e premiare il disprezzo nazionale fino a promuovere vere e proprie forme di autorazzismo; specializzare in questi compiti distruttivi schiere di giornalisti, pubblicisti, commentatori, facendo della denigrazione della propria storia e del proprio paese un genere letterario di sicuro successo, anzi il mestiere che più di ogni altro garantisce una rapida carriera all'insegna della menzogna.
Possono così diffondersi facilmente e circolare trionfalmente panzane sul tipo di quelle che seguono:

1. Abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità per due generazioni.
2. I padri hanno contratto un debito pubblico che i figli dovranno ripagare.
3. Il debito pubblico, prodotto dalla corruzione, ha impedito all'Italia di crescere.
4. Non abbiamo più margini, con tutto 'sto debito pubblico che ci hanno lasciato...
5. Il debito pubblico è il primo problema dell'Italia.
6. Ogni italiano nasce con 35mila euro di debito.
7. Questa spesa pensionistica è un lusso che non possiamo più permetterci.
8. Questo Stato spendaccione è un lusso che non possiamo più permetterci.
9. Questa sanità sprecona è un lusso che non possiamo più permetterci.
10. La corruzione dei politici ci costa 60 miliardi all'anno.
11. La casta corrotta ci costa 40... 50... 60...  90 miliardi all'anno...
12. Per rimettere le cose a posto ci vorranno 15 anni di seria politica della formica.
13. Per rimettere le cose a posto bisogna tagliare le pensioni.
14. Per rimettere le cose a posto cominciamo a ridurre il numero dei parlamentari.
15. Per rimettere le cose a posto cominciamo a ridurre il numero degli statali.
16. Basta con il mito del posto fisso.
17. Meno male che c'è l'ombrello protettivo dell'Europa.
18. Grazie all'Europa siamo diventati un paese normale.
19. Per l'Europa non siamo abbastanza competitivi.
20. Grazie al vincolo dell'Europa aumenteremo la nostra produttività.
21. Le riforme che ci chiede l'Europa ci renderanno più competitivi.
22. L'Italia è più corrotta della Germania.
23. I tedeschi sono più seri degli italiani.
24. Perfino gli spagnoli e i portoghesi ci stanno superando.
25. Dobbiamo essere riconoscenti all'Europa.
26. Perché non ci si debba più vergognare di essere italiani...
27. Occorrono riforme vere e non all'italiana.
28. Grazie all'Europa 60 anni di pace.
29. Grazie all'Euro possiamo difenderci dalla Cina.
30. E meno male che non abbiamo più le lirette in tasca...
31. Grazie a San Draghi...

Sono 31 fandonie scelte a caso, tra le molte frottole euriste che a forza di comparire sui giornali, dopo migliaia di passaggi televisivi, hanno fatto breccia nel pensiero e nell'immaginazione di milioni di persone.
Ma anche se molto ripetute e pubblicizzate si tratta pur sempre di panzane.
In quanto panzane possono essere smentite e smontate facilmente. Come? Facendo quello che i professori da sempre raccomandano di fare: Studiare. Basta studiare. Verificare ogni affermazione. Confrontare le fonti. Scartare i falsi. Tirare le somme. Non c'è luogo migliore della scuola  per combattere la cattiva propaganda.
Se non a scuola, dove?

La formazione è già una critica all'euro, inevitabilmente.
Al crescere dall'informazione, della ricerca e dello spirito critico, cresce nello studente la capacità di riconoscere le fandonie, e di integrare l'elenco, dalla numero 32 in avanti. E alla fine ci arriveranno tutti, perfino i meno motivati e i ripetenti, e addirittura gli ultimi ritardatari della Bocconi.