Il 30 giugno sono scaduti i termini per l'aggiornamento del RAV. All'ordine del giorno figurava l'eventuale revisione delle analisi effettuate nell'autovalutazione di istituto, e, se necessario, la ridefinizione dei traguardi e degli obiettivi di processo previsti dalle scuole.
Ma può essere vera autovalutazione quella che, per un obbligo di legge, si svolge attraverso la compilazione di form e di moduli predefiniti, illustrati da direttive e identici su tutto il territorio nazionale, con trascurabili varianti regionali?
Le pratiche autovalutative, che per definizione fanno riferimento a metodi e a strumenti autoprodotti localmente, dalle singole istituzioni (altrimenti il prefisso "auto" appare del tutto ingiustificato ed eluso, e meglio sarebbe "etero" per rendere l'idea), sono diventate una procedura ministeriale definita da note e circolari, con annesso scadenzario e inevitabili adempimenti amministrativi. L'autovalutazione si è trasformata dunque in eterovalutazione, aggiungendosi al lungo elenco delle molestie burocratiche e dei monitoraggi, privi, come tutti sappiamo, di qualsiasi influenza sulla vita delle scuole.
Allo stesso modo il Miur sta cercando di organizzare la valutazione dei presidi. Al pari dell'autovalutazione eterodiretta che, proprio perché eterodiretta, non sarà mai autentica autovalutazione, ma sempre e soltanto compilazione di scartafacci (con la scocciatura suppletiva di doverne riprodurre l'inutilità in versione digitale, in nome della cosiddetta "semplificazione"), anche la produzione del portfolio del dirigente rientra in quel fenomeno scolastico degenerativo che dobbiamo definire come ritorno alla cultura dell'adempimento. Un fenomeno non solo italiano ma europeo, che dura da parecchi anni e che la Buona Scuola ha notevolmente aggravato.
Non si vorrebbe, se si potesse scegliere, ma si deve. Più che da una volontà consapevole questo processo degenerativo mi sembra determinato da uno stato di necessità, una necessità prima di tutto economica, che mira a un progressivo taglio della spesa pubblica e sociale, indotto dal vincolo esterno eurista che è superfluo ancora una volta ricordare.
I comportamenti autonomi, che si ispirano all'autodeterminazione e respingono l'idea di un'amministrazione intesa come mero succedersi di adempimenti dettati da regole fisse, producono incontrollabili aspettative, progetti da attuare, nuovi bisogni da soddisfare, insomma spese. La creatività moltiplica i costi (insieme alle possibilità di crescita e di sviluppo). Reprimerla attraverso minuziosi regolamenti e faticose obbedienze provoca invece risparmi (insieme alla depressione, intesa in un duplice senso, morale ed economico).
Si tratta della logica dell'austerità (la virtù intesa come disciplinata osservanza di regole indipendenti dalla propria volontà) che ancora una volta si contrappone a quella dell'autonomia (la virtù intesa come capacità di scoprire da sé la propria regola).
Ma appunto perché autonomia, autovalutazione e autodeterminazione, anche se non più sostenibili dal punto di vista economico ed euro-incompatibili, costituiscono ancora valori largamente diffusi e difficilmente contrastabili sul piano politico. Meglio allora non entrare in conflitto con queste pericolose idee, e piuttosto dichiarare di volerle preservare per il futuro, presentando i vincoli, le costrizioni, i formalismi e gli adempimenti burocratici, come misure necessarie allo scopo, e nascondendo finché si può il loro vero obiettivo, che è quello di reprimere il protagonismo sociale, la partecipazione e l'iniziativa pubblica, per instaurare un clima culturale favorevole alla compressione della spesa statale e dei diritti. Non dimentichiamo mai, a tal proposito, l'ideologica equazione neoliberista:
iniziativa pubblica = spesa improduttiva
I tempi che stiamo vivendo dimostrano drammaticamente l'insensatezza di una simile convinzione, ma il liberismo persevera. E persevererà fino alla sua rovina. Non ha infatti bisogno di dimostrazioni essendo principalmente una religione.
La legge 107/15 è un esempio di questa subdola strategia.
Si dichiara, nel primo comma, che "la presente legge dà piena attuazione all'autonomia delle istituzioni scolastiche di cui all'articolo 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59...", ma nel succedersi dei restanti 211 commi si mira precisamente al contrario. Non c'è infatti aspetto dell'autonomia che non venga aggredito, negato o deformato. Soprattutto nella prima stesura del testo, poi abbandonata per il venir meno del necessario consenso politico, questa tendenza era evidentissima: annientamento della collegialità, dirigismo e centralismo burocratico, indebolimento delle garanzie e dello stato giuridico del personale, precarizzazione diffusa.
Come si può pensare che da un simile clima ideologico possa derivare la proposta di un piano di miglioramento che non rappresenti un reale regresso e un peggioramento?
Perché non sia un piano di peggioramento è necessario rompere la logica della Buona Scuola e rifarsi alla preesistente e contrapposta esperienza delle scuole autonome.
In sede di revisione del PdM è importante chiedersi quali
caratteristiche debba avere il documento per essere efficace e a quale modello
teorico possa ispirarsi l'autovalutazione, per risultare veramente tale. Ho sintetizzato le conclusioni nel seguente quadro, che costituisce una premessa per la redazione di un piano di resistenza alle procedure rigide e peggiorative introdotte dalla legge 107:
Piano di miglioramento
COME DEVE ESSERE (indicatori di efficacia) |
Piano di miglioramento
COSA DEVE EVITARE (indicatori di inefficacia) |
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R
E
D
A
Z
I
O
N
E
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Valorizzazione dell'autovalutazione
esistente:
Il Pdm deve inserirsi nella programmazione
esistente, mantenendo gli strumenti già prodotti e operativi e completando
l'autovalutazione di istituto autonomamente adottata, già prima del RAV,
senza abbandonarla.
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Evitare l'adozione di modelli troppo complessi e
strutturati, che si sovrappongono all'esistente invece di completarlo, non rispettando
le abitudini di lavoro dei docenti e le pregresse esperienze di autovalutazione.
Se non c’è
autovalutazione pregressa, precedente al RAV, chiedersi il perché (in
questo caso non sarà però l'adozione di una complicata modulistica
predefinita a risolvere il problema).
|
Autovalutazione formativa di istituto:
Anche per l'autovalutazione di istituto vale il principio
della prevalenza della valutazione formativa (basata sull'interpretazione)
contro la mera misurazione della performance (basata sul calcolo numerico).
La misurazione e gli indicatori numerici sono strumenti
di aiuto all'interpretazione e non viceversa.
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Evitare di ancorare il piano al mero conseguimento
di mete espresse con indici numerici, scambiando i mezzi per i fini, e
l’autovalutazione per semplice automisurazione.
Il calcolo delle medie e delle percentuali, anche
se indicativo, non esprime la qualità di insegnamento e apprendimento.
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|
C
O
M
U
N
I
C
A
Z
I
O
N
E
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Semplicità, brevità, incisività:
Il piano deve essere un documento semplice, conciso,
non prescrittivo e redatto in un linguaggio in cui possano riconoscersi tutte
le componenti scolastiche, allievi e genitori compresi.
Il Pdm comunica a tutti le priorità generali della
scuola e le azioni in corso a cui si attribuisce particolare importanza, con definizione dei
risultati attesi da conseguire in tempi brevi.
|
Non ricorrere a un linguaggio eccessivamente
tecnico o dirigistico, ed evitare la prolissità, che si traduce in perdita di
efficacia comunicativa.
La scuola non ha bisogno di doppioni e già dispone
di documenti programmatici, che trattano anche da un punto di vista tecnico
le principali questioni organizzative, finanziarie, didattiche.
Se così non è la lacuna è seria, ma non potrà
essere colmata solo attraverso la redazione del piano.
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Ampia diffusione:
Il Pdm viene diffuso in tutta la scuola, attraverso
una circolare o un volantino.
A tal fine è meglio che sia schematico e
concentrato in una tabella accompagnata da un breve testo di commento
(risparmio di spazio e di parole per non disperdere l'attenzione e facilitare
la diffusione).
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Evitare che il piano resti confinato all'interno di
una ristretta cerchia di docenti (che sono in genere gli stessi che lo hanno
scritto e gli unici che ne conoscono interamente il contenuto e ne condividono
con il dirigente l’impostazione).
La scarsa comunicazione è sicuro indice di non
condivisione.
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V
E
R
I
F
I
C
A
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Test di verifica:
Un efficace test è rappresentato dalla seguente
domanda, rivolta a chiunque, a qualsiasi titolo, faccia parte della scuola:
“Che cosa è importante raggiungere quest’anno secondo il Pdm?”
Se la maggioranza sa rispondere esattamente è molto
probabile che il piano sia efficace.
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Se pochi sanno rispondere alla domanda di verifica
il piano è quasi sicuramente inefficace.
Ancor peggio se quelli che riescono a rispondere
sono costretti, per farlo, a consultare un opuscolo articolato, comprensivo di
programmi, regole, prescrizioni, scadenzario.
Ciò sarebbe sicura dimostrazione di inadeguatezza
del Pdm. Infatti l'autovalutazione è un processo sempre aperto e mai una
procedura costituita da adempimenti.
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Risultati attesi:
I risultati attesi di breve periodo (anno
scolastico) devono essere definiti da inequivocabili descrizioni di stati
finali o situazioni desiderate, formulate in modo che a ciascuna si possa
rispondere con VERO o FALSO.
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Nel descrivere le mete evitare la sovrapposizione
di obiettivi e la convergenza di più indicatori disomogenei, che rendono
oscure le situazioni da verificare.
Gli indicatori sono, appunto, indicazioni per la
riflessione, e non coincidono immediatamente con l'autovalutazione,
che è sempre frutto di interpretazione.
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Non è il caso di analizzare qui le modulistiche che si stanno diffondendo nelle scuole per la compilazione dei PdM, ma è inevitabile osservare come rispecchino più gli indicatori della seconda colonna che quelli della prima, seguendo la tendenza della Buona Scuola, che svuota l'autonomia trasformandola in adempimento.
Perché non siano piani di peggioramento occorre dunque cambiare registro ("verso" diceva qualcuno, che non ha avuto molta fortuna).
Perché non siano piani di peggioramento occorre dunque cambiare registro ("verso" diceva qualcuno, che non ha avuto molta fortuna).
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