giovedì 31 maggio 2018

A scuola non ci sono stakeholder

Nelle linee guida per la valutazione dei dirigenti scolastici, tra i documenti e gli strumenti specifici relativi alle diverse dimensioni professionali a disposizione dei nuclei, viene citato il questionario di apprezzamento dei docenti, "con riscontri da parte degli stakeholder".
Gli stakeholder? E chi sono costoro?
Gli stakeholder fanno capolino anche dal sito dell'Indire, là dove si parla delle azioni per l'analisi del sistema scolastico:
"Le metodologie sviluppate e i risultati delle analisi vengono condivise con la comunità scientifica e con gli stakeholder, quali ad esempio le università, gli enti di ricerca, gli organi di governo nazionali e internazionali (Commissione europea, amministrazione centrale e periferica del MIUR, regioni, enti locali), le parti sociali, il mondo delle imprese, gli organismi e le agenzie formative nazionali e internazionali."
Ah, ho capito. Gli stakeholder sarebbero le altre agenzie formative, gli enti territoriali, i vari soggetti che collaborano con le scuole. Ne abbiamo sempre parlato, in italiano (vivendo in Italia viene comodo e spontaneo farlo in questa lingua), pur non sapendo di avere a che fare nientepopodimeno che con gli stakeholder.
Ma perché rivolgersi all'inglese per esprimere un concetto così elementare e a portata di mano perfino in dialetto?
In realtà gli stakeholder non sono solo quelli indicati nel sito dell'Indire. O meglio: sono proprio quelli, ma associati alle convenzioni, al sistema di percezioni, al campo di esperienza e al clima culturale in cui l'espressione è nata e viene regolarmente utilizzata. Si può approfondire qui.

Ben si comprende, studiando la storia della parola e dei suoi usi, che gli stakeholder (letteralmente "portatori di interesse") non esprimono un interesse variabile, un interesse qualsiasi in generale, ma portano interessi specifici e prima di tutto economici, in relazione all'attività di un'azienda o di un progetto che coinvolge più aziende.
Fuori dal contesto economico e aziendale perché dunque parlare di stakeholder? In una scuola non ha alcun senso giustificabile. Si tratta semplicemente di un uso improprio del linguaggio, destinato a generare equivoci e fraintendimenti.
Se gli stakeholder fossero soltanto quel che l'Indire sostiene (cioè i vari soggetti con cui la scuola coopera come istituzione pubblica per raggiungere i suoi fini prima di tutto educativi e formativi) potremmo tranquillamente nominarli in italiano, come abbiamo sempre fatto e come continueremo a fare. Ma è così? No, non è così.
Nella pedagogia del gambero gli stakeholder sono sì, infatti, quelli che già conoscevamo, ma riproposti all'interno di una concezione aziendalista e liberista dell'istruzione, della società, della vita e, in fondo, dell'intero universo (il liberismo è prima di tutto una religione, un racconto sull'origine del mondo). Dove la forza che spinge in avanti l'umanità, il vero soggetto della storia, è il profitto, a cui tutto deve essere ricondotto, compresa la ricerca della felicità, della giustizia, del sapere. Conseguenza: non sono le istituzioni democratiche il luogo della mediazione sociale e dell'affermazione della libertà, ma le imprese economiche, chiamate anche a garantire i diritti e a sostenere i cittadini, grazie alla competitività,  prima e meglio dello Stato, a sua volta degradato ad azienda tra le altre. La chiamano governance, e non governo, per la stessa ragione che li costringe a trasformare in stakeholder gli enti locali e le altre agenzie educative presenti nel territorio.
Nell'€urismo liberista i cittadini non sono più i controllori del processo, i possessori della sovranità di cui si ostina a parlare l'art. 1 della Costituzione italiana, ma diventano i destinatari di un'iniziativa economica che non possono né devono influenzare. Sono gli stakeholder passivi, che ricevono dalle imprese private bene e benessere, e cioè quel bene e quel benessere che le stesse imprese, gli stakeholder attivi, nel proprio interesse ritengono tale. Si chiama "economia sociale di mercato" o "ordoliberismo germanico".
Se una simile concezione venisse posta ai voti nel mondo della scuola otterrebbe percentuali variabili tra lo 0,1 e lo 0,5% (le stesse dell'ordoliberista Monti secondo gli ultimi sondaggi). Proprio per questo bisogna ricorrere agli stakeholder e alla governance, parole da rendere di moda per evitarne altre più insidiose (cittadinanza attiva, democrazia, governo). Parole come pillole colorate e dolcificate per spacciare una medicina amara, e tossica, che altrimenti nessuno spontaneamente assumerebbe.
Prossimamente, perciò, quando i colleghi del nucleo di valutazione mi telefoneranno per parlare degli allegati al portfolio del dirigente (di questo marchingegno parlerò un'altra volta), chiarirò subito il concetto:
A scuola non ci sono stakeholder. 
Qui non li abbiamo e non li vogliamo.
Se ci fossero li allontaneremmo (ma il bello è che non ci sono).
Che in una scuola di qualità non debbano esserci stakeholder è un principio fondamentale, da inserire nei punti qualificanti dell'autonomia, e nelle pagine del manuale di resistenza attiva alla pedagogia del gambero.

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