L'euro tramonta non per colpa dei populisti ma perché è una moneta disfunzionale: accentua gli squilibri e le asimmetrie economiche, approfondisce le divergenze tra gli stati europei, aggrava i conflitti e prolunga le crisi. Presto anche la scuola, e non solo l'economia politica, dirà la verità sull'euro e sull'€uropa.
Si tratta di un passaggio inevitabile. Vediamone i motivi.
Fino ad oggi l'euro ha goduto, anche grazie alla scuola, di un'immeritata pubblicità, di un'acritica fiducia, di una benevolenza immotivata, frutto di una prolungata mistificazione. Non vi è stata in genere, da parte degli insegnanti, nessuna profonda adesione alle ragioni della moneta unica. Ancor meno queste ragioni sono state effettivamente comprese, e se lo fossero, d'altra parte, verrebbe meno il superficiale consenso che negli anni si è cristallizzato, più per abitudine e per pigrizia che per convinzione.
Una traccia di come l'euro sia stato accolto nel mondo della scuola è rimasta in archivio nel sito del Miur. Il tono è superficialmente apologetico e mai analitico. Una citazione dall'editoriale introduttivo può servire da esempio. Su questa falsariga, per troppo tempo, sono stati elaborati i testi e i materiali didattici per presentare l'argomento agli studenti:
Eppure non mancavano gli spunti e i riferimenti per sviluppare la questione in modo esauriente e critico, come a scuola si dovrebbe fare, o almeno tentare.
Un'unità didattica diretta a impostare correttamente il problema, e a permettere agli studenti di comprendere i termini dell'attuale crisi europea, per una classe del triennio finale di un istituto di scuola secondaria superiore, in un'aula dotata di LIM, potrebbe partire dalla visione di questa nota intervista di Giuliano Amato, un ottimo spunto per iniziare e per acquisire alcune indispensabili informazioni:
Una traccia di come l'euro sia stato accolto nel mondo della scuola è rimasta in archivio nel sito del Miur. Il tono è superficialmente apologetico e mai analitico. Una citazione dall'editoriale introduttivo può servire da esempio. Su questa falsariga, per troppo tempo, sono stati elaborati i testi e i materiali didattici per presentare l'argomento agli studenti:
"Per trovare una moneta accettata in Europa bisogna riferirsi al sesterzio, che potrebbe essere l'avo dell'Euro; tuttavia vi è una grossa differenza da sottolineare: l'Unione Monetaria Europea, a differenza dell'Impero Romano, è stata liberamente scelta dagli Europei.Si tratta di un banale concentrato di sciocchezze, comprensivo di alcune improprietà lessicali e di un errore di punteggiatura. Apprendiamo comunque, con grande spreco di maiuscole, che all'origine dell'Ue vi sarebbe una "dimensione idealista" da promuovere nei giovani. Occorrerebbe anche la presenza di un buon correttore di bozze, e tuttavia, vista la pochezza delle argomentazioni prodotte, ciò non potrebbe comunque elevare il tono del discorso, che, nonostante le vantate aspirazioni, resta al livello di una goffa propaganda.
Gli effetti prodotti dall'introduzione dell'Euro vanno al di là dell'uso della moneta e potrebbero essere molto simili a quelli prodotti dalla utilizzazione di una lingua comune.
L'Euro e l'Europa non possono essere oggetto di una sola disciplina, devono interessare trasversalmente le attività didattiche, che mirano alla formazione socio culturale degli studenti e, promuovere nei giovani la dimensione idealista che è all'origine dell'Unione Europea."
Eppure non mancavano gli spunti e i riferimenti per sviluppare la questione in modo esauriente e critico, come a scuola si dovrebbe fare, o almeno tentare.
Un'unità didattica diretta a impostare correttamente il problema, e a permettere agli studenti di comprendere i termini dell'attuale crisi europea, per una classe del triennio finale di un istituto di scuola secondaria superiore, in un'aula dotata di LIM, potrebbe partire dalla visione di questa nota intervista di Giuliano Amato, un ottimo spunto per iniziare e per acquisire alcune indispensabili informazioni:
Amato, uno dei politici che hanno portato l'Italia nell'euro nel corso degli anni Novanta, ritornando a quel periodo ricorda che molti economisti erano scettici di fronte alla scommessa (o, come viene detto, "faustiana pretesa") di costruire una moneta senza stato. La storia e l'economia, basandosi sull'esperienza, mettevano in guardia le forze politiche dei vari paesi: non funzionerà! Nelle unioni monetarie fino ad allora studiate erano state infatti le economie più forti a prevalere su quelle più deboli, e ad aggravare le diseguaglianze invece di ridurle, operando in una direzione purtroppo opposta a quella desiderata dall'Ue, che, almeno a parole (e solo a parole), mirava all'unificazione nella cooperazione e a un'equa distribuzione del benessere nel continente.
L'euro ha insomma rappresentato una scommessa della politica contro l'economia e i precedenti storici. I responsabili della sua creazione sapevano che prima o poi, nei momenti di crisi, si sarebbero manifestati squilibri, tensioni, rivalità e interessi contrapposti tra i vari paesi, ma la condivisione di una stessa moneta, rappresentando un enorme rischio per tutti, avrebbe costretto i governi a trovare un accordo, spingendoli a ridurre le distanze attraverso strumenti di compensazione e di reciproco aiuto, fino all'unificazione europea. Questa è in fondo la soluzione che ancora oggi vagheggiano i difensori a oltranza dell'euro, Amato compreso (per il momento e parlando in pubblico).
L'unità didattica potrebbe a questo punto proseguire esaminando i trattati, e in particolar modo, ovviamente, quello di Maastricht. Una sua lettura in classe è però difficile e sconsigliabile. Si tratta infatti di un testo volutamente oscuro, redatto da specialisti per altri specialisti e quasi incomprensibile ai più. Ma, attraverso la mediazione dei docenti, con il ricorso a un'opportuna sintesi corredata da spiegazioni e note, può essere presentato anche agli studenti tra i 16 e i 18 anni, almeno per quanto riguarda la sua impostazione generale, e le preoccupazioni tutt'altro che solidali che lo hanno ispirato.
Il trattato che sta alla base dell'euro, confinando in un lontano e imprecisato sfondo l'ideale dell'integrazione e dell'unificazione, è dominato dalla reciproca diffidenza tra i paesi aderenti e appare condizionato dalla tutela degli interessi nazionali, a partire da quelli tedeschi, fatti valere dall'economia più forte, che intende mantenere e rafforzare la sua posizione dominante rispetto alle altre, e difendersi dal rischio di possibili trasferimenti di risorse verso le regioni più fragili e arretrate del Sud.
Se sullo sfondo vi sono solidarietà e integrazione, in primo piano accade qualcosa di diverso, nelle regole effettivamente approvate e praticate, dove troviamo soprattutto competitività, rigidi parametri, vincoli di spesa e divieti. Si tratta dei divieti di cui anche Amato parla:
Si vagheggia l'ideale dell'unificazione, ma, concretamente, le regole indicate dai trattati per definire i rapporti tra gli stati spingono in direzione opposta, per la supremazia delle regioni forti sulle regioni deboli, verso l'impoverimento dei già poveri a vantaggio dei già ricchi.
Nell'atto fondativo dell'euro è dunque già scritta la sua contraddizione e prefigurata la sua storia, che è storia di un fallimento annunciato, in quanto i mezzi imposti sono incompatibili col fine dichiarato, e tanto più si procede nell'applicazione di Maastricht quanto più ci si allontana dall'unificazione, dalla solidarietà e dall'integrazione. L'euro è intrinsecamente disfunzionale.
A scuola, dove si costruiscono i valori collettivi, non si tratta di schierarsi pro o contro l'Unione europea, non è questo il punto, ma occorre piuttosto spiegare, attraverso lo studio e un'informazione finalmente completa, che la storia dell'euro è stata la storia del suo stesso dissolvimento, e volge al termine. Dobbiamo trovare una strategia pacifica e le parole giuste per affrontare l'inevitabile passaggio, che comporta un grande cambiamento di paradigma, nella cultura e non solo nell'economia. Se non a scuola dove? La consapevolezza critica di questo compito lentamente si fa strada tra gli insegnanti, anche in seguito all'aggressione subita dal sistema formativo negli ultimi anni. Anche a chi è disinteressato e refrattario a qualsiasi calcolo di carattere economico, infatti, comincia ad apparire chiaro il senso di marcia della moneta unica, e il suo impatto recessivo e regressivo: definanziamento, riduzione del diritto allo studio, blocco dei contratti, peggioramento dello stato giuridico del personale, pedagogia del gambero.
L'euro ha insomma rappresentato una scommessa della politica contro l'economia e i precedenti storici. I responsabili della sua creazione sapevano che prima o poi, nei momenti di crisi, si sarebbero manifestati squilibri, tensioni, rivalità e interessi contrapposti tra i vari paesi, ma la condivisione di una stessa moneta, rappresentando un enorme rischio per tutti, avrebbe costretto i governi a trovare un accordo, spingendoli a ridurre le distanze attraverso strumenti di compensazione e di reciproco aiuto, fino all'unificazione europea. Questa è in fondo la soluzione che ancora oggi vagheggiano i difensori a oltranza dell'euro, Amato compreso (per il momento e parlando in pubblico).
L'unità didattica potrebbe a questo punto proseguire esaminando i trattati, e in particolar modo, ovviamente, quello di Maastricht. Una sua lettura in classe è però difficile e sconsigliabile. Si tratta infatti di un testo volutamente oscuro, redatto da specialisti per altri specialisti e quasi incomprensibile ai più. Ma, attraverso la mediazione dei docenti, con il ricorso a un'opportuna sintesi corredata da spiegazioni e note, può essere presentato anche agli studenti tra i 16 e i 18 anni, almeno per quanto riguarda la sua impostazione generale, e le preoccupazioni tutt'altro che solidali che lo hanno ispirato.
Il trattato che sta alla base dell'euro, confinando in un lontano e imprecisato sfondo l'ideale dell'integrazione e dell'unificazione, è dominato dalla reciproca diffidenza tra i paesi aderenti e appare condizionato dalla tutela degli interessi nazionali, a partire da quelli tedeschi, fatti valere dall'economia più forte, che intende mantenere e rafforzare la sua posizione dominante rispetto alle altre, e difendersi dal rischio di possibili trasferimenti di risorse verso le regioni più fragili e arretrate del Sud.
Se sullo sfondo vi sono solidarietà e integrazione, in primo piano accade qualcosa di diverso, nelle regole effettivamente approvate e praticate, dove troviamo soprattutto competitività, rigidi parametri, vincoli di spesa e divieti. Si tratta dei divieti di cui anche Amato parla:
"Abbiamo addirittura previsto dei vincoli nei nostri trattati, che impedissero addirittura di aiutare chi era in difficoltà, e abbiamo previsto che l'Unione europea non assuma la responsabilità degli impegni degli stati, che la banca centrale non possa comprare direttamente i titoli pubblici dei singoli stati, che non ci possano essere facilitazioni creditizie o finanziarie..."Moneta comune sì, ma ciascuno dovrà provvedere a se stesso in competizione con gli altri. La conseguenza è che, nei momenti di crisi, non si potranno trovare gli strumenti di compensazione sperati, non vi sarà solidarietà, ma al contrario, nel nome della competitività, aumenteranno le divergenze e le tensioni.
Si vagheggia l'ideale dell'unificazione, ma, concretamente, le regole indicate dai trattati per definire i rapporti tra gli stati spingono in direzione opposta, per la supremazia delle regioni forti sulle regioni deboli, verso l'impoverimento dei già poveri a vantaggio dei già ricchi.
Nell'atto fondativo dell'euro è dunque già scritta la sua contraddizione e prefigurata la sua storia, che è storia di un fallimento annunciato, in quanto i mezzi imposti sono incompatibili col fine dichiarato, e tanto più si procede nell'applicazione di Maastricht quanto più ci si allontana dall'unificazione, dalla solidarietà e dall'integrazione. L'euro è intrinsecamente disfunzionale.
A scuola, dove si costruiscono i valori collettivi, non si tratta di schierarsi pro o contro l'Unione europea, non è questo il punto, ma occorre piuttosto spiegare, attraverso lo studio e un'informazione finalmente completa, che la storia dell'euro è stata la storia del suo stesso dissolvimento, e volge al termine. Dobbiamo trovare una strategia pacifica e le parole giuste per affrontare l'inevitabile passaggio, che comporta un grande cambiamento di paradigma, nella cultura e non solo nell'economia. Se non a scuola dove? La consapevolezza critica di questo compito lentamente si fa strada tra gli insegnanti, anche in seguito all'aggressione subita dal sistema formativo negli ultimi anni. Anche a chi è disinteressato e refrattario a qualsiasi calcolo di carattere economico, infatti, comincia ad apparire chiaro il senso di marcia della moneta unica, e il suo impatto recessivo e regressivo: definanziamento, riduzione del diritto allo studio, blocco dei contratti, peggioramento dello stato giuridico del personale, pedagogia del gambero.
La scuola dirà presto la verità sull'euro e sull'€uropa. Ciò avverrà sul terreno specifico dell'educazione, che è quello della diffusione dei valori collettivi, della trasmissione degli orizzonti e delle prospettive di vita, che precedono e seguono il pensiero economico, e determinano il quadro in cui può avere senso ed essere compreso, approvato o negato.
L'euro è una moneta disfunzionale in economia, ha fatto molti danni in Europa, sta allontanando i paesi invece di unificarli, e tramonta perché è socialmente e culturalmente insostenibile.
Non vi è luogo in cui l'insostenibilità culturale dell'euro risalti meglio che a scuola.
La formazione non è tale se non viene inserita in una prospettiva di crescita e di sviluppo. Anche se volessimo teorizzare una decrescita felice dovremmo pur sempre pensarla come una forma di miglioramento. Ma nella pedagogia eurista ed €uropeista non vi è niente di tutto questo, e l'attesa di un miglioramento viene proiettata in un futuro talmente lontano da scomparire dalla vista della gioventù. Nel presente, invece, valgono solo i sacrifici, le rinunce, la precarietà e il cedimento ai ricatti dell'austerità €uro-indotta. Nell'immediato vale solo il messaggio diseducativo di Romano Prodi, quando propone (ancora!) alle giovani generazioni "quindici anni di seria politica della formica", e poi chiedere pietà a Berlino per diventare tedeschi di serie B. C'è da stupirsi se una simile ricetta viene respinta con ripugnanza insieme al suo autore?
L'educazione non è tale se non trova nel passato valori comuni da coltivare. Ma nelle €uro-favole il nostro passato è solo motivo di vergogna, colpa nazionale e fonte di debiti che le prossime generazioni dovranno ripagare (un meritato castigo, ci raccontano gli €uropeisti). Chi può meravigliarsi, allora, quando si scopre che a queste fandonie anti-italiane credono ormai solo gli ultimi ritardatari della Bocconi?
Non solo l'euro è disfunzionale, ma è anche diseducativo, e la scuola non rinuncerà al suo compito e saprà tenerne conto.
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