venerdì 10 agosto 2018

La sinistra sottomessa e la scuola

Chi si attendeva dal nuovo governo un completo abbandono della legge 107 ha già motivo di rammaricarsi. Le novità sono infatti poche e timide e non alterano per il momento il quadro liberista e aziendalista che ha ispirato la Buona Scuola (e insieme l'ha resa insopportabile, determinando il suo fallimento).
Denunciare la mancanza, che rinvia a una promessa non mantenuta, è inevitabile e giusto. Non può però diventare un pretesto per riabilitare chi ha portato la scuola italiana in questa penosa situazione, come ci propongono alcune voci interessate (voci dal piddì e dai suoi dintorni e cespugli).

I documenti che circolano nei nostri istituti risentono ancora del gergo della Buona Scuola. Accountability, policy, governance, stakeholder, aziendalismo scolastico oltre ogni misura, e perfino al di là del pudore e del senso dell'umorismo. Rendicontare. Dimostrare. Essere efficienti e produttivi. Parlare di insegnamento e apprendimento come se fossero oggetti in produzione, e fingere perfino che sia possibile misurarli, pesarli, calcolarli. Anzi pretenderlo. Certificare. Monitorare. Ottimizzare. Il sistema deve dare prova di affidabilità funzionando senza sprechi. A questa caricatura, a questa scimmiottatura di una fabbrica, viene ridotta la scuola quando la si pensa sotto il segno del Mercato, del produttivismo, dell'economicismo, del liberismo e del privato che si contrappone al pubblico come garanzia di efficienza.

Ovvio che una simile idea non sarebbe nemmeno proponibile senza una serie di pregiudizi di carattere culturale e politico. L'inevitabile prevalenza del privato sull'economia pubblica. L'idea che l'interesse collettivo debba passare attraverso il sacrificio dei ceti più deboli. La compressione dei diritti sociali vista come premessa per un benessere futuro e come garanzia di una maggiore competitività nel presente. La riduzione della politica nazionale all'accettazione di regole e vincoli internazionali imposti da organismi e interessi non controllati democraticamente. Questo è il clima che apre la strada alla Buona Scuola, alla sua concezione della formazione e del sapere. Un clima che non possiamo interamente attribuire a Renzi e ai suoi cattivi consiglieri e che rinvia a una lunga storia, quella di una sinistra che, orfana della sua prospettiva storica, si è completamente arresa alla finanza.
Sinistra sottomessa, o subalterna, o bancaria, o €uropea, o eurista, o filo-tedesca, chiamatela come volete, ma è facilmente riconoscibile nelle parole dei suoi personaggi:






Una sinistra subalterna che ha fatto dell'austerità la sua bandiera. La sinistra che pur di governare ha accettato, in nome dell'euro, il lavoro sporco che a nessuna destra era mai riuscito. 
La Buona Scuola doveva essere il coronamento di questo processo, il suo suggello dal punto di vista culturale, ridisegnando i ruoli (dirigenti, docenti, studenti) in adesione al modello neoliberista di formazione.
Per il momento è andata male, anzi molto male, oltre le previsioni più negative, ma il progetto non è stato completamente accantonato, e c'è chi pensa di poterlo prolungare per inerzia, lasciandolo galleggiare, sonnecchiando nell'ordinaria amministrazione, per poi riproporlo al momento buono in condizioni più favorevoli delle attuali.
Così ragionano dalle parti del piddì (e cespugli). Dovrebbero scorrere l'elenco dei danni e chiedere scusa, ma non lo faranno. O meglio lo faranno solo alla fine, quando non vedranno altra strada per salvarsi, e allora sarà tardi, e cominceranno a darsi la colpa reciprocamente come già si intuisce da qualche segnale.
Nel frattempo bisogna stare attenti a non cadere nelle trappole. Non riabilitare frettolosamente chi ha dato prova di grande incapacità e tenere bene a mente quello che si è sperimentato e imparato in questi anni: tra sinistra sottomessa e scuola italiana c'è piena incompatibilità.

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