domenica 30 dicembre 2018

In arrivo altri tagli alla scuola? La risposta è no, ma...

Le opposizioni denunciano un altro colpo di mano ai danni della cultura: con il bilancio 2019 sarebbero in arrivo altri tagli alla scuola (ben quattro miliardi, se ho ben compreso, sottratti ai disabili e agli svantaggiati). Anche il Corriere certifica il misfatto: è proprio vero, i tagli ci sono. E pensare che, come diceva Victor Hugo, nei momenti di crisi non bisognerebbe risparmiare sull'istruzione, e anzi spendere di più. Miserabili! Hanno ignorato l'appello di Victor Hugo, secondo il Corriere.
Ma è proprio vero?
No, non è vero. Nel 2019, come vedremo, le spese per istruzione aumenteranno di circa due miliardi di euro rispetto alla previsione del 2018. E anche le altre stime del precedente governo (Gentiloni), relative all'anno 2020, sono state riviste al rialzo. Dunque più soldi alla scuola e non meno, per quest'anno e per l'anno prossimo. Niente tagli ma incrementi di spesa rispetto alle previsioni fin qui note. Anche se le opposizioni e il Corriere non ci stanno. I tagli non si notano per il momento, però, in prospettiva, nel triennio, ma...
Un "ma" in effetti c'è. Un vistoso "ma" che da anni pesa sulla nostra finanza pubblica, e che, soprattutto quando si tratta di ragionare in prospettiva e di mostrare le tendenze, conduce a vere e proprie mistificazioni, con deliberate falsificazioni a partire da dati reali ma sempre manipolati, in obbedienza al Fiscal compact e agli altri vincoli europei. Non importa se al governo c'è Conte o Gentiloni, non importa se siamo in Francia, in Italia o in Germania. Le regole europee sono assurde e inapplicabili per tutti e devono per forza essere adattate, aggirate, violate. Ciascuno lo fa a modo suo, ma il vizio è di tutti. Di questo, però, parleremo alla fine. Per il momento osserviamo il successivo quadro:


Sono le spese per l'istruzione scolastica (missione 22 del bilancio statale) negli ultimi 12 anni, dal governo Berlusconi IV a Conte (fonte Senato.it). Si tratta di una storia di tagli al personale e agli stipendi, compiuti in nome del rigore di bilancio e dell'Europa, con parziali restituzioni reclamizzate come "riforme epocali" (in realtà mance), una storia che proverò a riassumere qui in poche parole.
Nel 2010, per effetto di tagli al personale (aumento del numero degli allievi per classe, riduzione del tempo scuola e revisione al ribasso dei curricoli) e agli stipendi (blocco dei contratti), si vedono i primi frutti del piano di attacco all'istruzione pubblica compiuto dal governo Berlusconi IV. "Lo chiedeva l'Europa", come ancora si usava dire, in ottemperanza al patto di stabilità e alla strategia di Lisbona. Nel 2011 la spesa per la scuola, ritenuta uno "spendificio" dal ministro (Gelmini), comincia a scendere sensibilmente, secondo i piani di Tremonti, rigoroso, ma non del tutto, e non abbastanza "europeo", dunque da abbattere a colpi di spread. E abbattuto Tremonti, con l'arrivo di Monti, può andare senza ostacoli a regime la politica contraria allo "spendificio" scolastico, e la spesa per istruzione tocca il suo punto più basso (2012/2013), in una disastrosa parentesi che, col passare del tempo, nella considerazione dei danni prodotti, sempre più verrà ricordata come un vero e proprio periodo di dominazione straniera, nell'interesse della finanza internazionale apolide. Caduto Monti, il breve governo Letta lascia inalterata la situazione. Con l'arrivo di Renzi, anche per far fronte al crescente malcontento, vi è invece un tentativo di rilanciare la scuola pubblica, ma all'interno della visione neoliberista caldeggiata dalle varie direttive europee, che vorrebbero ridisegnare i sistemi formativi in funzione dei mercati, sotto il valore guida della competitività. Ne deriva un goffo tentativo di riforma, incompatibile con la scuola italiana e condotto con scarsa consapevolezza critica e insufficiente conoscenza del sistema. I tagli operati dai precedenti governi vengono in parte restituiti con mance che sostituiscono i contratti nazionali e deprimono quelli locali. L'organico viene ampliato attraverso la creazione di nuovi posti,  che mirano all'esaurimento delle graduatorie più affollate ma non tengono conto delle esigenze delle scuole, con il risultato di aggravare un precariato che si vorrebbe superare e di intervenire con provvedimenti distruttivi sul reclutamento dei docenti. Per effetto di queste velleitarie misure la spesa cresce nel 2016. Tale crescita è accompagnata da un'esagerata enfasi propagandistica (la Buona Scuola), come se si trattasse di un grande investimento pubblico sull'educazione, ma a ben guardare non è che un ritorno ai livelli del 2009 e 2010 (prima dei tagli Berlusconi IV). La spesa per istruzione (missione 22) del 2016 (44,8 miliardi) non supera di molto quella del 2010 (44,2 miliardi). Tutto qui. Chi volesse approfondire il tema dell'inefficienza e inefficacia delle spese della Buona Scuola potrà farlo attraverso questo post.
Dopo il fallimento della Buona Scuola, con il governo Gentiloni, le spese per la missione 22 aumentano ancora di poco, per effetto di trascinamento, a norme invariate. Ma nel 2018 viene al pettine un grande nodo, quello del contratto scuola, bloccato contro il diritto nazionale e costituzionale perché "ce lo chiedeva l'Europa" (l'Europa chiede sempre qualcosa di incostituzionale). Gli impegni che il governo è costretto ad assumere per rinnovarlo, per quanto insufficienti e destinati a risolversi in cifre assai modeste, comportano pur sempre un significativo finanziamento, data la vasta platea interessata, e riaprono un fronte di spesa (e di conflitto) rimasto a lungo silenzioso. Siamo dunque a fine ciclo. Una fine più fisiologica che politicamente consapevole, prodotta da un falso riformismo che ha mancato tutti i suoi obiettivi e che viene ora congedato senza rimpianti dall'istituzione scolastica a dal corpo elettorale.
Espressione di questa svolta, favorito da questa situazione, pur non avendo fatto nulla per rilanciare il riformismo, anzi essendosene ben guardato, il governo Conte è fisiologicamente discontinuo rispetto ai governi precedenti. Ha inoltre ereditato una serie di problemi aperti, a lungo evasi o aggravati, che di per sé comportano la necessità di incrementare la spesa per l'istruzione. E in effetti la previsione approvata per il 2019 (48,3 miliardi) supera di due miliardi quella dell'esercizio Gentiloni 2018 (46,3 miliardi), che pure costituiva la spesa più alta, nel confronto con quelle del precedente decennio. Tale incremento solo per una quota minima è il risultato delle nuove norme introdotte dalla manovra finanziaria, e per lo più discende, invece, da impegni già presi nel corso del 2018, su questioni non più rinviabili, prima fra tutte il contratto nazionale.
Non si vede, allora, come qualcuno possa affermare che il bilancio 2019 prevede nuovi tagli ed è restrittivo rispetto a quelli che lo hanno preceduto. Un'analisi approfondita delle spese per la missione 22 nei bilanci statali degli ultimi 12 anni dimostra precisamente il contrario.

Due tabelle possono chiarirci definitivamente le idee sulla manovra economica per la scuola del 2019.
La prima riguarda il punto di partenza, il bilancio 2018 (governo Gentiloni), vedi documentazione su Senato.it:


Osserviamo la riga 1 (grigia). La prima cifra riporta la spesa (aggiornata e stabilizzata) a carico del bilancio del precedente esercizio 2017: 45.906,5 milioni. Subito a destra, nella colonna BLV, relativa al 2018, troviamo un'altra cifra: 46.000,9 milioni. BLV significa Bilancio a Legislazione Invariata e indica la previsione di spesa che automaticamente si imporrebbe sulla base della semplice applicazione delle norme vigenti, approvate nei precedenti esercizi. Ci dice, in pratica, quanto sarebbe costata l'istruzione scolastica nel 2018 se il governo non avesse previsto modifiche alla spesa del 2017, attraverso le rimodulazioni e la manovra. Nelle altre colonne di destra sono invece riportati gli effetti dell'azione governativa. La sezione II riguarda le rimodulazioni e le modifiche senza variazione di leggi. La sezione I è invece dedicata alle innovazioni legislative. Le cifre sono comunque contenute e dipendono da interventi marginali. Il saldo finale è di 46.155,6 milioni, con un incremento di soli 249 milioni della spesa del 2017. Ci troviamo di fronte, nella sostanza, a una riedizione del bilancio del precedente esercizio. Non vi sono comunque tagli. La previsione finale è la più alta dell'ultimo decennio.

La seconda tabella, strutturata come la prima, riguarda il punto di arrivo, il bilancio 2019 (governo Conte), vedi documentazione su Senato.it:






Dato di partenza sulla prima riga: 46.312,6 milioni (si tratta della spesa consolidata, derivata dalla legge di bilancio 2018). Nella vicina colonna BLV troviamo però una sorpresa. La riscrittura del bilancio a legislazione invariata sale a 48.241,7 milioni, quasi due miliardi in più, una somma considerevole. Come mai?
Si tratta, come ho già detto, del nodo del contratto nazionale scuola che è venuto al pettine (dopo alcuni anni di sospensione delle regole costituzionali e democratiche, al grido di "ce lo chiede l'Europa"). Il suo rinnovo, con aumenti per altro molto contenuti e deludenti, ha comportato impegni coperti solo parzialmente nel 2018. Nel 2019 la copertura dovrà essere invece totale, con il risultato che vediamo. Seguono altri timidi interventi di maggiore spesa nelle sezioni II e I (il più significativo riguarda il potenziamento del tempo pieno nella scuola primaria), per ulteriori 75,2 milioni. Il risultato finale per il 2019 è 48.316,9 milioni. Non è certo una rivoluzione, ma una cosa è comunque indiscutibile e chiara: la spesa prevista è la più alta dal 2008 ad oggi.

Da dove vengono, allora, le preoccupazioni del Corriere (e delle opposizioni), e la convinzione, data per assodata, che siano in arrivo pesanti tagli alla scuola?
L'errore deriva da un uso strumentale di due tabelle ricavate dalle previsioni triennali 2018 e 2019, e precisamente da una considerazione tanto malevola quanto ingiustificata della seconda (2019), dopo avere volontariamente ignorato la prima (2018), che ne costituisce la premessa.
Chi è a conoscenza della variabilità e dell'inattendibilità delle previsioni triennali (anche quelle "ce le chiede l'Europa") ha già capito che stiamo parlando di nulla. Cominciamo comunque, come si sarebbe dovuto fare, dalla prima tabella 2018, governo Gentiloni:


I dati non sono confrontabili con quelli fin qui riportati e commentati, relativi alle sole spese della missione 22 (istruzione scolastica). Costituiscono infatti la somma di  tutte le previsioni di spesa del Miur, considerando anche la missione 23 (istruzione universitaria) più altre voci. La prima cifra sottolineata è il risultato complessivo della legge di bilancio 2017, la seconda è l'incremento previsto per il 2018, di circa 900 milioni. I dati cerchiati in rosso rappresentano, o meglio dovrebbero rappresentare, le previsioni 2019 e 2020, che sono però decrementi: meno 337 milioni nel 2019; meno 1.283 milioni nel 2020. Ma come è possibile? Evidentemente non è possibile. Abbiamo visto che nel 2019, per semplice effetto di trascinamento, a legislazione invariata (colonna BLV), vi sarà un incremento di spesa di due miliardi. Appare dunque chiaro che si tratta di previsioni "ottimistiche", cioè truccate, dettate dalle preoccupazioni di bilancio derivanti dall'adesione ai vincoli europei (di nuovo, il problema è sempre lì). Bisogna ipocritamente dichiarare che le maggiori spese di oggi saranno compensate dai risparmi di domani, per altro già esclusi dalle norme in vigore.
Tabella di previsione triennale con metodo "europeo". Un metodo non solo italiano ma obbligatorio in tutti i paesi UE e per ogni governo. Ne sono maestri, come al solito, i primi della classe, cioè i tedeschi, che abitualmente rinfacciano agli altri la violazione di regole che sono i primi a calpestare.
Forti della conoscenza di questo collaudato metodo passiamo alla seconda tabella 2019, governo Conte:


La prima cifra sottolineata in rosso è il risultato complessivo della legge di bilancio 2018. La seconda è lo stanziamento 2019 (incremento superiore ai due miliardi, quasi interamente determinato dal rinnovo del CCNL). Le due cifre cerchiate in rosso, previsioni 2020 e 2021, perseverano invece, "europeisticamente" e irrealisticamente, nell'indicare un decremento di spesa. Il dato del 2020 incrementa di 1.277 milioni la previsione al ribasso del precedente triennale 2018/20, ma opera una riduzione di 1.325 milioni rispetto al bilancio annuale 2019, riduzione che nel 2021 sale addirittura a circa quattro miliardi. 
A queste previsioni ribassiste, tipiche delle pianificazioni triennali in chiave europea, chiaramente insostenibili e destinate a essere accantonate al momento della stesura dei bilanci annuali (quelli veri), si giunge semplicemente "dimenticando" le voci di spesa, o facendo figurare come interventi una tantum spese che sono invece fisse e obbligatorie, in quanto determinate da leggi. Nel caso in esame la "dimenticanza" riguarda soprattutto i posti in deroga di sostegno, che non figurano nell'organico di diritto e sono occupati da docenti precari. Ma se i posti non figurano gli allievi esistono e le norme sul sostegno anche. Si tratta pertanto di spese strutturali che vengono deliberatamente nascoste. Per evitare il trucchetto contabile bisognerebbe confessare che fin dal 2020 il Miur spenderà nel complesso più di 60 miliardi. E ciò senza alcuna innovazione, a legislazione vigente, per forza di inerzia derivante dal bilancio corrente. E a maggior ragione nel 2021 (più di 60 e non 55), anche non considerando che gli stanziamenti sul sostegno dovranno aumentare e che parte dei precari verrà stabilizzata (anche questo "ce lo chiede l'Europa", che non sempre è coerente con se stessa).

Dall'esame comparato degli ultimi piani triennali di spesa si ricavano dati ben poco attendibili sul futuro della scuola e dell'Italia. Si comprende però bene che per chiunque governi, per Conte come per Gentiloni, c'è un problema con le regole di bilancio europee. Tanto che mentire è obbligatorio per tutti. Di questo bisognerà parlare, ed è un bene che con l'attuale governo si sia cominciato a farlo.
E il fatto che gli "europeisti" del Corriere, ad uso di politica interna, si attacchino a questi insignificanti e inattendibili dati è l'unica cosa davvero significativa. Significa che sono proprio disperati.

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