domenica 9 settembre 2018

Se non a scuola, dove?


Sono diventato preside grazie a un concorso indetto nel 1990, più di 27 anni fa, svolgendo in otto ore un tema sull'analisi della domanda educativa, in condizioni difficili (ricordo perfino gente appesa alle finestre dell'hotel Ergife di Roma che protestava, già allora, contro la pessima organizzazione dell'esame). Com'è lontano quel tema. Non ne so ripetere esattamente il titolo e nemmeno lo svolgimento, ma è molto probabile che abbia scritto che il termine "domanda", in campo educativo, assume un significato molto diverso da quello che gli attribuiscono di solito gli economisti. Un risvolto economico, volendo, si può trovare anche qui, come sempre, ma non tocca l'essenza del problema. Sono inoltre sicuro di avere citato la legge 517/77, quella che attribuisce a ciascun allievo il diritto a un percorso individualizzato, che prevede la rimozione dei famosi ostacoli di cui parla l'art. 3 della Costituzione, e in qualche punto del testo avrò certamente anche ricordato che la prima finalità della scuola italiana è (era) la formazione dell'uomo e del cittadino. Niente di speciale, né di particolare. Ero solo un concorsista che aveva studiato la lezione.
Il problema di oggi è: 27 anni dopo potrei rifare quel tema?
Quell'idea sarebbe ancora proponibile e mi farebbe, come allora, ammettere agli orali? 
Sì in teoria, no in pratica.
Non c'è nessuno che l'abbia smentita in un testo di legge, perché manca la maggioranza politica in grado di farlo, ma c'è sempre qualcuno che, senza scontrarsi con una maggioranza politica capace di fermarlo, riesce a toglierla dai punti all'ordine del giorno e a deviare il discorso, una volta perché è talmente scontata che è inutile ripeterla (eh già, siamo tutti d'accordo), un'altra volta perché a forza di ripeterla si rimane nel passato e si perdono le sfide della competitività e della modernizzazione (e anche su questo punto dobbiamo essere tutti d'accordo, e se qualcuno per caso non lo è, guai a lui). Spingono in tal senso interessi forti, anche se non abbastanza da poter cambiare la trama costituzionale, ma sufficienti ad alterare la natura della domanda educativa. E qui, vedi come in un'altra partita cambiando le carte cambia anche il gioco, il termine "domanda" va invece inteso in senso strettamente economico, e per essere precisi, anzi addirittura rigorosi, come "abbattimento della domanda interna". 

Per abbattere la domanda interna, cioè i consumi e il benessere della popolazione, bisogna ridurre gli stipendi, aumentare le tasse, comprimere la spesa dello Stato, e quindi meno lavoro, meno sanità pubblica, meno previdenza sociale, meno istruzione gratuita. Il che è precisamente quel che è avvenuto in Italia negli ultimi anni, e che continua ad avvenire in obbedienza al regime eurista in cui siamo lentamente sprofondati. Crescente sottomissione a regole esterne (eteronomia) contro indipendenza nazionale organizzata a tutela dei cittadini (autonomia).
Mi sembra evidente che il soggetto posto al centro della domanda educativa che è derivata dalla Costituzione sia un ostacolo a un simile processo. Non occorre insistere molto sul concetto. Se il primo obiettivo della scuola è la formazione dell'uomo e del cittadino che emerge dal disegno costituzionale, entra nel pensiero comune l'idea che il lavoro, l'istruzione, l'assistenza sanitaria siano diritti, non lussi, non abusi. Non solo. Più si è istruiti e più si è consapevoli di questo fatto. I diritti diventano, appunto, un fatto e non una generica promessa. Un fatto che costituisce un grave problema per l'Europa.

L'Europa finanziaria non ha scelta. Non c'è alternativa: se vogliamo continuare a tagliare gli stipendi, i servizi sociali e le pensioni, e a trasferire risorse pubbliche al privato, e debiti privati al pubblico, dobbiamo invertire il nostro modo di pensare. L'uomo e il cittadino che la scuola, come organo costituzionale, intende formare rimuovendo ogni ostacolo, deve a sua volta diventare il principale ostacolo, e il più grande impedimento da rimuovere in nome del profitto e della competitività. Occorre dunque farne un bersaglio della propaganda "progressista", e su questa costruire una nuova antipedagogia, la pedagogia del gambero.
Bisogna dimostrare che i presunti diritti del cattivo soggetto legittimato dai principi della Costituzione ("un accidioso individuo" come diceva Padoa Schioppa) sono infondati, perché riferiti a un personaggio che ha tutti i caratteri del parassita: fannullone, sprecone, disoccupato e soprattutto indebitato. E un debitore strutturale non merita il benessere che uno Stato clientelare e spendaccione gli ha garantito.
Ne nasce una vera e propria filosofia della denigrazione nazionale.
Convincere un popolo che mirare al proprio benessere è un male e che accettare sacrifici inutili, anzi controproducenti, è un bene, non è tanto facile. Ma se si hanno a disposizione quasi tutti i mezzi di comunicazione, se si può contare sull'appoggio e sulla complicità di quasi tutti i partiti politici, è possibile tentare, e anche riuscire, almeno per un periodo, finché la verità non venga inevitabilmente a galla.
Per spingere un popolo all'autolesionismo è un'ottima strategia puntare sul senso di colpa collettivo: attraverso false informazioni seminare la discordia tra le generazioni, convincere i padri di avere danneggiato i figli, e i figli di essere stati derubati dai padri; fiaccare il morale di chi lavora spingendolo a credersi incapace e improduttivo; alimentare la diffidenza, la sfiducia e l'odio contro ogni funzione pubblica o potere statale, rappresentato come marcio e corrotto per definizione; sollecitare lo sconforto, scoraggiare la partecipazione e premiare il disprezzo nazionale fino a promuovere vere e proprie forme di autorazzismo; specializzare in questi compiti distruttivi schiere di giornalisti, pubblicisti, commentatori, facendo della denigrazione della propria storia e del proprio paese un genere letterario di sicuro successo, anzi il mestiere che più di ogni altro garantisce una rapida carriera all'insegna della menzogna.
Possono così diffondersi facilmente e circolare trionfalmente panzane sul tipo di quelle che seguono:

1. Abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità per due generazioni.
2. I padri hanno contratto un debito pubblico che i figli dovranno ripagare.
3. Il debito pubblico, prodotto dalla corruzione, ha impedito all'Italia di crescere.
4. Non abbiamo più margini, con tutto 'sto debito pubblico che ci hanno lasciato...
5. Il debito pubblico è il primo problema dell'Italia.
6. Ogni italiano nasce con 35mila euro di debito.
7. Questa spesa pensionistica è un lusso che non possiamo più permetterci.
8. Questo Stato spendaccione è un lusso che non possiamo più permetterci.
9. Questa sanità sprecona è un lusso che non possiamo più permetterci.
10. La corruzione dei politici ci costa 60 miliardi all'anno.
11. La casta corrotta ci costa 40... 50... 60...  90 miliardi all'anno...
12. Per rimettere le cose a posto ci vorranno 15 anni di seria politica della formica.
13. Per rimettere le cose a posto bisogna tagliare le pensioni.
14. Per rimettere le cose a posto cominciamo a ridurre il numero dei parlamentari.
15. Per rimettere le cose a posto cominciamo a ridurre il numero degli statali.
16. Basta con il mito del posto fisso.
17. Meno male che c'è l'ombrello protettivo dell'Europa.
18. Grazie all'Europa siamo diventati un paese normale.
19. Per l'Europa non siamo abbastanza competitivi.
20. Grazie al vincolo dell'Europa aumenteremo la nostra produttività.
21. Le riforme che ci chiede l'Europa ci renderanno più competitivi.
22. L'Italia è più corrotta della Germania.
23. I tedeschi sono più seri degli italiani.
24. Perfino gli spagnoli e i portoghesi ci stanno superando.
25. Dobbiamo essere riconoscenti all'Europa.
26. Perché non ci si debba più vergognare di essere italiani...
27. Occorrono riforme vere e non all'italiana.
28. Grazie all'Europa 60 anni di pace.
29. Grazie all'Euro possiamo difenderci dalla Cina.
30. E meno male che non abbiamo più le lirette in tasca...
31. Grazie a San Draghi...

Sono 31 fandonie scelte a caso, tra le molte frottole euriste che a forza di comparire sui giornali, dopo migliaia di passaggi televisivi, hanno fatto breccia nel pensiero e nell'immaginazione di milioni di persone.
Ma anche se molto ripetute e pubblicizzate si tratta pur sempre di panzane.
In quanto panzane possono essere smentite e smontate facilmente. Come? Facendo quello che i professori da sempre raccomandano di fare: Studiare. Basta studiare. Verificare ogni affermazione. Confrontare le fonti. Scartare i falsi. Tirare le somme. Non c'è luogo migliore della scuola  per combattere la cattiva propaganda.
Se non a scuola, dove?

La formazione è già una critica all'euro, inevitabilmente.
Al crescere dall'informazione, della ricerca e dello spirito critico, cresce nello studente la capacità di riconoscere le fandonie, e di integrare l'elenco, dalla numero 32 in avanti. E alla fine ci arriveranno tutti, perfino i meno motivati e i ripetenti, e addirittura gli ultimi ritardatari della Bocconi.